sabato 5 dicembre 2009

Capitolo 1°



Il pomeriggio era tipicamente autunnale, le foglie cadevano con un ritmo irregolare dalle piante, quelle rare piante che in una città si potevano vedere nei pressi dell'ospedale; gli stati d'animo delle persone sembravano procedere passo a passo con la stagione: malinconia e svogliatezza si coglievano facilmente tra le frettolose persone che affollavano i marciapiedi e le fermate degli autobus.
Lui, invece, stava solo in quella camera d’ospedale: tutt'intorno le pareti tinte di un azzurro pallido sembravano ancora fresche anche se, in quella piccola stanza, niente pareva avere un'aria sana.
Gli infissi sottili e bianchi parlavano da soli: bastava appena un filo d’aria per farli vibrare e fuori da quei vetri, ormai opachi e logorati da mille mani e da mille occhi rivolti all’orizzonte, si vedeva quell’enorme condominio, quella piazzola fatta di cemento spaccato dal sole con quella ringhiera arrugginita dai giorni. C’era una saracinesca lì vicino, un vecchio alimentari che aveva chiuso, abbandonando tutto, lasciando solo delle vecchie pesche che ormai si erano stampate sul pavimento: antichi sapori di un affresco di vita ormai passata.
Il pavimento freddo risultato di un puzzle monotono e ripetitivo, riconduceva a delle mattonelle grigie, lavate chissà quante volte e ormai consumate dal peso della tristezza che accompagnava le persone che entravano in quel luogo.
Rimanevano poi i quattro letti disposti uno di fronte all’altro con le solite prese d’ossigeno, il campanello per le emergenze, un piccolo comodino e una lampada, luce delle numerose notti insonni.
Se chiedeste ai vicini che tipo era vi risponderebbero unanimi che è solo un vecchio scorbutico e rozzo senza amici e tanto meno una compagna. Era un omone bello grosso ma non grasso, un fisico vecchio e logorato dal tanto duro e prematuro lavoro; il viso rugoso e barbuto denotava una certa trasandatezza del suo essere e pochi capelli gli ricoprivano il capo. Il suo carattere era molto riservato, se ne stava sempre sulle sue e della sua vita non diceva nulla a nessuno e apparentemente non sembrava nemmeno avere il dono della parola.
Comunicava solo se strettamente necessario.
A differenza di quanto possa sembrare era molto più scaltro e sveglio di qualsiasi altro anziano della sua età: se lo si poteva vedere giocare a scopa insieme ad altri vecchietti, si notava come memorizzasse ogni mossa degli avversari e di conseguenza come vincesse.
Un anziano sì, ma giovane dentro: nel suo spirito c’erano ancora moltissime cose in attesa di essere realizzate, quante cose avrebbe voluto fare, quanti posti avrebbe voluto visitare ma purtroppo tutti i suoi desideri erano immobili in fondo al suo cuore.
Non percepiva la sua vita come vissuta ma ancora li, in attesa della nascita.
Questo era il signor Gandelli, senza quell'involucro di vecchiaia, antipatie e sentimenti repressi; dentro di lui tutto questo esisteva e, con il passare degli anni, tutti questi sentimenti lo mutarono nel vecchio scorbutico che tutti conoscevano.
Le condizioni di salute del vecchio non erano delle migliori poiché era gravemente malato.
A lui non gliene fregava niente e molto probabilmente erano più preoccupati i dottori che lo assistevano: aveva ormai perso da tempo l’aspirazione alla vita e questo, forse, era anche dato dal fatto che la sua ingiusta vita non gli aveva mai riservato una donna.
Gandelli non aveva mai perso tempo con una donna, le prime ed ultime esperienze risultavano le cotte adolescenziali ma non si dedicò mai a serie relazioni che avrebbero portato, secondo il suo pensiero, a perdite di tempo. Non avrebbe potuto gestire un suo io così diverso con un'altra persona che sicuramente gli avrebbe condizionato l'esistenza.
Se la vita aveva voluto questo, lui non avrebbe mai fatto niente per cambiarla e tuttora non rimpiangeva questa sorte.

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