giovedì 18 marzo 2010

- Con umiltà verso il prossimo -



Sviluppato da: Gasparotto Marco;
Revisione a cura di: Zaroccolo Alessia;
Gestione della pubblicazione a cura di: Bregalda Alessandro;

Capitolo 1°



Da qui voglio cominciare a raccontare la mia storia, da questo piccolo paesino della Bolivia a circa 2000m di altitudine sul livello del mare. Mi chiamo Giosuè Cuso e sono un prete missionario. Sono stato consacrato a Padova, una città del Veneto e il mio ruolo di presbitero è cominciato a Vicenza, un’altra cittadina della stessa regione. Ma per raccontarvi questa avventura, voglio così definirla perché per me è veramente tale, è utile tornare indietro fino a un mese fa, affinché capiate meglio l’intero sviluppo della storia. Eravamo rimasti alla mia investitura; a Vicenza ricevetti il mio primo incarico anche se ero solo un semplice subordinato ad un mio collega più anziano. Un giorno ero in consiglio pastorale con tutte quelle persone anziane che non hanno molti impegni e così vengono a fare i bravi alle riunioni per la chiesa quando, mentre stavamo discutendo sul concedere o meno una sala del patronato per una festa dei giovani, si attaccò al campanello qualcuno. Mi alzai, facendo un gran rumore nel silenzio che pervase d’un baleno l’intera stanza dove si stava tenendo la riunione, ed andai ad aprire alla porta. Era il tecnico, chiamato la settimana prima, che era venuto per sostituire il toner della fotocopiatrice. Lo accompagnai nella stanza dove stava la macchina; anche se, in realtà, conosceva molto bene la strada e fui io a seguire lui. Lo conoscevo bene, era un signore sulla quarantina, abitava circa a un chilometro dalla canonica e per qualsiasi consulenza per l’appunto, tecnica, gli facevo squillare il cellulare e dopo alcuni giorni lui arrivava portandomi il pezzo da sostituire facendomi, come sempre, un prezzo senza guadagno. Appena finì di sostituire il toner gli buttai giù una domanda così, tanto per animare l’atmosfera e, sapendo che la nipote si era da pochissimo sposata, la domanda cadde proprio su quella questione. La domanda ve la lascio immaginare anche perché non ricordo di preciso quale fosse; sta di fatto che dopo avermi risposto con una breve conversazione spuntò fuori il fatto del ricevimento. La festa di nozze si era svolta in una villa: con spuntini, alberi in fiore e damigelle tutte in tiro e l’intero servizio era stato offerto dall’OMG (Operazione Mato Grosso). Non sapevo di preciso di cosa si trattasse ma nella fretta sua di dover andare a fare un’altra consegna e nella mia di ritornare seduto in mezzo agli anziani, feci appena in tempo a comprendere che si trattava di un organizzazione a scopo di volontariato verso alcune zone dell’America latina.

mercoledì 17 marzo 2010

Capitolo 2°



Appena terminato il consiglio pastorale andai al computer, lo accesi, avviai internet e digitai tre parole: “operazione mato grosso”; attesi qualche istante e subito dopo mi ritrovai con una schermata piena di OMG di qua, operazioni di là, Mato Grosso nel Brasile, ecc, ecc.. , non essendo molto esperto cliccai sul primo indirizzo web che venne in cima alla schermata, anche qui dovetti attendere alcuni secondi ed ecco: Operazione Mato Grosso, il sito ufficiale; in primo istante non badai nemmeno al titolo ma, guardando appena sotto all’intestazione, si possono vedere alcune immagini scorrere automaticamente una dopo l’altra e, dopo una prima occhiata veloce, le riguardai anche una seconda volta tutte e 10 e ancora un’altra volta. Poi, finalmente, mi decisi a leggere qualcosa per informarmi su questa organizzazione ma vi risparmio tutte le peripezie che affrontai nell’esplorare quel sito seppure molto semplice e intuitivo ma sicuramente molto complicato per me. Lessi l’intera storia di Ugo De Censi e i lavori di volontariato con i quali alcuni benemeriti giovani d’oggi raccolgono i fondi per sostenere questa iniziativa. Trovai poi i cinque punti chiave dell’OMG:

1. I Giovani: un cammino per giovani e ragazzi, vita di gruppo, amicizia, esperienza e avventura per imparare a voler bene a chi è meno fortunato di noi.
2. I Poveri: prestando attenzione agli ultimi c'è sempre qualcuno ancora più povero da accogliere ed aiutare.
3. Il Lavoro: ci si educa alla fatica, a pagare di persona e con il frutto de lavoro si aiutano i poveri.
4. La Capillarità: nel rapporto diretto a tu per tu l'amicizia vera cresce e diventa fedeltà nel tempo.
5. L'Aconfessionalità: credere o non credere non ha importanza per aiutare gli altri. Con una vita buona si ricerca la verità.
 
Fantastici, a mio avviso, non ne ho idea di chi li abbia scritti ma lo ammiro. Spensi il computer e andai a celebrare la messa delle sette.
Il giorno seguente andai al patronato e presi una Pepsi: Basilio ne prese una lattina dal frigo e me la diede. -E’ venuto per i gruppi dei giovanissimi?- Mi chiese lui con tono da finto interessato; non che fosse un menefreghista o un poco di buono però la sua domanda era una di quelle che si fanno per convenzione.
-Si- risposi con un cenno della testa finche sorseggiavo la mia bibita
-Ho sentito che verranno alcuni ragazzi a parlare, mi pare che siano quelli dell’operazione Mato Grosso.
-Sicuro?- domandai io
-Non so, credo di si, perché ho parlato prima con l’animatore ma non so se parlasse di oggi o di una volta prossima-
-Va bene- conclusi io e intanto avevo finito la mia Pepsi.
Salii le scale ed entrai nella saletta dove c’erano i gruppi e salutando tutti mi sedetti li vicino. In effetti c’erano dei ragazzi e un paio di ragazze un po’ più grandi rispetto al resto del gruppo; inizialmente non feci alcuna domanda, mi limitai ad ascoltare perché tutto per me era una scoperta. Neanche farlo apposta avevo trovato ragazzi di circa vent’anni che facevano parte dell’organizzazione di cui fin dal giorno prima ignoravo l’esistenza.

martedì 16 marzo 2010

Capitolo 3°


Wow! Dissi tra me e me: così giovani e con un così grande spirito d’iniziativa, complimenti veramente! Rimasi colpito dalle parole che uscirono dalla bocca di quel ragazzo anzi, di quei ragazzi; perché mentre parlava uno gli altri ogni tanto si intromettevano aggiungendo particolari, osservazioni. Fu un discorso molto illuminante per un ignorante come me sull’argomento. La serata proseguì con alcuni giochi organizzati dagli stessi animatori e terminò con l’andare a prendere da bere tutti insieme. Questa volta presi una birra, ma solo per fare compagnia agli animatori perché personalmente non sono uno che beve molto. Erano le dieci meno un quarto e io me ne tornai a casa. Mi tolsi la giacca, le scarpe, i pantaloni e mi misi il pigiama; disteso sul letto pensai parecchio all’Operazione Mato Grosso: le foto che ci avevano fatto vedere, proiettate sulla parete, penetravano come una lama nell’animo più profondo di ciascuno, ogni persona in quella stanza credo si sia fatta un esame di coscienza mentre osservava quelle bellissime immagini più vere che mai. Nessuna foto mi aveva mai colpito in quel modo. Certo, vi sono spesso molte pubblicità alla televisione e sui giornali dove si vedono foto di bambini poveri, gente ammalata che soffre, ma sembrano comunque molto distanti dalla nostra realtà, non ci influenzano e, più tempo passa, più tali immagini diventano ricorrenti e banali; quella ventina di foto le avevo ancora davanti agli occhi. Altrettanto significative furono le parole con cui il ragazzo presentava ogni foto. Chi partiva per quelle missioni, non erano solo vecchi preti e coppie in cerca di una strampalata luna di miele ma anche giovani ragazzi dall’animo nobile che hanno messo da parte tutto il loro mondo tecnologico e moderno per dedicarsi ad altri esseri umani che si trovano ad affrontare una realtà ben diversa dalla nostra ma, potrà per noi sembrare assurda, più genuina, naturale, sana e per loro più bella. Vivere in case di pochissimi metri quadri senza sedie  su cui sedersi, senza letti su cui dormire, ma un solo telo disteso a terra con qualche panno a fare da cuscino. Insomma, per noi sarebbe probabilmente impossibile abbandonare tutto e trasferirci in mezzo a loro però vi sono alcuni ragazzi per l’appunto di questa fondazione che per periodi di sei mesi si partono per andare in una della tante missioni sparse fra Brasile (12), Perù (oltre 40), Ecuador (17) e Bolivia (9). Qui arrivati come personale dell’OMG aiutano i responsabili principali della missione che è presente in tale luogo con svariati compiti.

 

lunedì 15 marzo 2010

Capitolo 4°



La mattina seguente mi svegliai, dissi le orazioni del mattino, andai a fare colazione eccetera, eccetera. La giornata proseguì fino a sera con una tipica giornata da prete ma c’era qualcosa che continuava a tormentarmi fin dal mattino e appena mi svegliai il giorno dopo capii cos’era: dovevo partire, andare in una di quelle missioni. Telefonai al vescovo il quale, richiamandomi quasi dopo due giorni mi rispose che tra l’OMG e la chiesa non vi era alcun legame (il che è vero) e che se avessi voluto fare il missionario avrei dovuto semplicemente fare richiesta, la quale sarebbe stata sicuramente accolta. Ma io insistetti sul fatto che non volevo andare una qualsiasi missione ma proprio in una dell’organizzazione della quale mi ero innamorato. Probabilmente vi chiederete quale sia la differenza fra una dell’OMG da una classica della chiesa cattolica: beh la risposta è semplice, arrivare in una missione già “imbastita” con una comunità istruita al culto di Cristo e semplice, io invece volevo partire dal nulla o almeno da un qualcosa che non rappresentasse la chiesa come elemento conciliatore sotto un'unica veste, ma al contrario presentarmi come un uomo umile verso il prossimo e non essere privilegiato come sacerdote. Un altro fatto non meno rilevante è la presenza di giovani. A me piace stare a contatto con gruppi di giovani, che hanno un minimo di buon senso, che fanno qualcosa per aiutare la comunità e rendere più bello il mondo, anche nel loro piccolo; al contrario di altri cui interessa solo apparire. Era per questo che volevo andarmene da li portando del bene ad altri meno fortunati stando però vicino a giovani di buona volontà. Così decisi di partire.

domenica 14 marzo 2010

Capitolo 5°



Come avevo precisato prima non era intenzione del vescovo darmi il permesso per intraprendere un viaggio a tempo indeterminato ma non gli diedi tregua finché me lo concesse. E fu così che partii. All’interno del villaggio vi è una chiesa, non aspettatevi una cattedrale con giganteschi portoni e mattoni da metro ma, al contrario, una capanna, niente di più rispetto ad una qualsiasi casetta del villaggio, semplicemente un crocifisso la contraddistingue.
Il villaggio è un agglomerato di casette con al centro la chiesetta, tutto attorno vi sono campi, ovviamente nemmeno paragonabili agli immensi appezzamenti di terra della Pianura Padana: si tratta di tanti piccoli campi dove la coltura è divisa ma l’intero raccolto viene distribuito equamente a tutti gli abitanti del villaggio; uno splendido esempio di solidarietà, altro che nelle città dove si è sospettosi del proprio vicino, dove si chiudono tapparelle, saracinesche affinché lo sguardo “furtivo” del vicino non penetri nelle nostre abitazioni e veda che stiamo leggendo il giornale. Oltre questi campi… montagne, montagne all’infinito; un continuo su e giù guida l’occhio lungo le infinite cime delle Ande coccolando l’animo con tutte quelle sfumature di blu, azzurro, verde acqua, che divengono lentamente giallastre, arancioni e poi rosse per farti vivere ogni sera come se fosse la prima creata dopo i sette giorni. L’aria umida in concomitanza con l’alta quota e la conseguente scarsità d’ossigeno attenua la percezione della cose dopo un duro giorno passato a dissodare la terra e, per un inesperto come me, continuare diventa sempre più difficile ma, vedendo gli abitanti proseguire imperterriti nel loro compito, mi fa sentire veramente estraneo in una regione dispersa e lontana dal mondo: sia nelle cose positive che in quelle negative.