domenica 14 marzo 2010

Capitolo 5°



Come avevo precisato prima non era intenzione del vescovo darmi il permesso per intraprendere un viaggio a tempo indeterminato ma non gli diedi tregua finché me lo concesse. E fu così che partii. All’interno del villaggio vi è una chiesa, non aspettatevi una cattedrale con giganteschi portoni e mattoni da metro ma, al contrario, una capanna, niente di più rispetto ad una qualsiasi casetta del villaggio, semplicemente un crocifisso la contraddistingue.
Il villaggio è un agglomerato di casette con al centro la chiesetta, tutto attorno vi sono campi, ovviamente nemmeno paragonabili agli immensi appezzamenti di terra della Pianura Padana: si tratta di tanti piccoli campi dove la coltura è divisa ma l’intero raccolto viene distribuito equamente a tutti gli abitanti del villaggio; uno splendido esempio di solidarietà, altro che nelle città dove si è sospettosi del proprio vicino, dove si chiudono tapparelle, saracinesche affinché lo sguardo “furtivo” del vicino non penetri nelle nostre abitazioni e veda che stiamo leggendo il giornale. Oltre questi campi… montagne, montagne all’infinito; un continuo su e giù guida l’occhio lungo le infinite cime delle Ande coccolando l’animo con tutte quelle sfumature di blu, azzurro, verde acqua, che divengono lentamente giallastre, arancioni e poi rosse per farti vivere ogni sera come se fosse la prima creata dopo i sette giorni. L’aria umida in concomitanza con l’alta quota e la conseguente scarsità d’ossigeno attenua la percezione della cose dopo un duro giorno passato a dissodare la terra e, per un inesperto come me, continuare diventa sempre più difficile ma, vedendo gli abitanti proseguire imperterriti nel loro compito, mi fa sentire veramente estraneo in una regione dispersa e lontana dal mondo: sia nelle cose positive che in quelle negative.

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