sabato 13 marzo 2010

Capitolo 6°


La mia giornata era organizzata in modo molto ben strutturato e ad ogni momento era associata un’attività che dovevo svolgere in aiuto a qualcuno. La mia vita lì mi piaceva perché sapevo sempre cosa fare, non  mi annoiavo mai e alla mia ordinaria attività di prete si aggiungeva (la più bella) quella di aiutante per delle persone meno fortunate. La preghiera mi accompagnava e scandiva i miei attimi più intimi in cui riuscivo a trovare il contatto con il mio Dio che mi aveva portato alla vocazione. Il silenzio non era quello della mia canonica: le voci di tanti, tantissimi bambini si udivano da ogni parte; mi piaceva, però, perché tutto quel rumore non lasciava spazio al silenzio che in un posto come quello poteva essere collegato solo al dolore, tanto dolore con cui tutti si dovevano confrontare: la fame e le malattie erano all’ordine del giorno. Quello che in assoluto amavo di più erano i bambini, forse perché la mia vocazione di prete mi aveva privato della mia paternità personale ma me ne aveva creata una di collettiva che mi faceva sentire il padre di tutti; i bambini, appunto, mi venivano a svegliare il mattino per la colazione, a mezzogiorno per il pranzo e la sera per la cena. Sapevano benissimo che tutto ciò di cui potevano disporre in quel momento era offerto dalla nostra organizzazione e compensavano tutta la nostra fatica con de sorrisi e dei grandissimi grazie che ogni giorno colmavano il cuore a me e a tutti gli altri ragazzi del gruppo. Ci eravamo affezionati a loro e io, unica figura religiosa del gruppo, li guidavo piano piano verso la dottrina cristiana che, anche una volta finita la nostra missione lì, avrebbero sicuramente continuato a professare. La soddisfazione che quel periodo mi stava procurando era unica e mi rendevo conto che, se fossi rimasto in parrocchia, non avrei mai potuto provare delle sensazioni simili; la vita era diventata monotona dove stavo fino a cinque mesi prima: la messa, i matrimoni, i funerali, i battesimi, le cresime…l’unico momento in cui riuscivo a ritrovare me stesso e a sentirmi veramente utile era quando mi recavo in visita agli ammalati i quali, dalla vista annebbiata del prete del loro paese, accennavano un sorriso e pregavano con me prima di ricevere la comunione che molto spesso portavo nelle case e in ospedale. I ragazzi della comunità non erano più motivati come una volta: nonostante facessi di tutto per coinvolgerli con le più svariate attività, loro si ritrovavano alla di fuori della casa parrocchiale dove, per anni avevano trascorso i loro pomeriggi liberi. Ero deluso dei giovani che avevano abbandonato completamente i posti dove i loro genitori erano cresciuti, rifiutavano le mie celebrazioni e non mi riconoscevano più come la figura che univa il paese; solo i più anziani del paese venivano ancora a messa e qualche famiglia che, avendo i figli in età di prima comunione o di cresima, partecipavano giusto per quel momento.

venerdì 12 marzo 2010

Capitolo 7°



Dormivo in quella branda ormai da quasi sei mesi e, bene o male, le cose procedevano ad un ritmo costante. Il servizio reso a quella comunità mi rendeva soddisfatto sempre di più. Sapevo che tra qualche giorno sarei partito quindi, a malincuore, cominciai a passeggiare avanti e indietro per quella mia stanza e, alzando lo sguardo di tanto in tanto, osservavo le pareti nude. Ero inoltre a conoscenza che quel periodo trascorso in questo angolo incontaminato di mondo non era stato inutile: era stato un fatto che aveva in qualche modo scosso quella comunità e, seppure per un breve periodo, l’aiuto da me portato sarebbe stato molto utile. Stavo camminando e improvvisamente piombò nella stanza un bambino di circa 8 anni, o almeno credo, con l’intento di consegnarmi una lettera arrivata dalla città più vicina un paio di giorni prima ma, avvicinatosi a me, vide il mio sguardo triste e me ne chiese la ragione.
-Tra qualche giorno partirò- spiegai
Il bimbo stette immobile davanti a me per parecchi secondi e, una volta consegnatami la lettera in mano, mi strinse a sé dicendo: -non voglio che vai via- mi lasciò secco; nessuno aveva mai dimostrato tanto affetto nei miei confronti.
Capii in quell’istante che il mio posto era lì, in mezzo ai bisognosi, e non nelle comodità e nel lusso fra cui vivevo prima: dovevo rimanere.
Sono passati ormai tre anni da quando sono venuto qui in Bolivia e più il tempo passa, più cresce in me la ragione che una scelta più giusta non avrei mai potuto farla.

domenica 7 marzo 2010

Nuove notizie



Abbiamo delle nuove informazioni per voi! Punto primo, tra i vari "per fortuna", la pubblicazione del terzo racconto è slittata a lunedì 15 marzo. Punto secondo, entro giovedì 11, verrà pubblicato nel nostro blog il progetto della costruzione di un bar a Londra, lavoro datoci in consegna dal nostro professore d'inglese. Ovviamente tutto sarà scritto in inglese e stiamo decidendo se creare una pagina apposta o pubblicare il progetto direttamente nel blog. Quindi vi diamo appuntamento qui esattamente tra pochi giorni. Alla prossima!