mercoledì 9 giugno 2010

- Un enigmatico ragù -



Capitolo 1

Avevo sempre visto quella trattoria si trovava nell'angolo, tra due vie; era un posto storico, penso che quella casa avesse all'incirca duecento anni: un pezzo di storia della buona tavola di quel paesello in collina. Quando passavo di lì con il mio furgoncino era inspiegabilmente sempre l'ora di pranzo e, anche se ero solo, non riusciva a tirare dritto così, senza pensarci troppo, svoltavo a destra ed entravo nel cortile della trattoria. Si chiamava "La Campagnola" proprio perché si trovava fuori dalla città, fuori da quel caotico mondo di auto che sfrecciano ad alta velocità; i piatti che la cucina offriva avevano i tipici sapori di campagna, tutto genuino e apprezzabile da chiunque. Era gestita da una coppia sulla quarantina, Sonia ed Eugenio, e dalla mamma di lui, Agnese che avrà avuto non meno di settant'anni. La cuoca era lei, la classica signora anziana che si dedica ai fornelli con passione e dedizione, che ama la buona tavola e i sapori della sua terra. Il figlio si occupava di accogliere i clienti e di portare i piatti in tavola, mentre la moglie collaborava con Agnese ma cercava di rimanere sempre un po' da parte; secondo il mio pensiero, quella trattoria andava avanti grazie ad Agnese e alle sue specialità in cui ricercava l'originalità rispetto ai pasti commerciali degli altri ristoranti. Agnese era sposata con Pietro, morto qualche anno prima; lui si occupava del vino da servire ai suoi clienti e, sebbene non disponesse di un vigneto proprio, eseguiva delle accurate ricerche in modo da offrire il meglio, oltre che nel piatto, anche nel bicchiere. Da quando era morto questo compito era passato al figlio Eugenio che aveva mantenuto le stesse abitudini del padre e si riforniva dalle medesime aziende offrendo, come sempre era avvenuto in passato, dell'ottimo vino rosso e bianco ai suoi ospiti.


Capitolo 2

Entravo in quella trattoria sempre con molto piacere e ogni volta mi sembrava di sentirmi come a casa. Al bancone trovavo sempre Eugenio che, da bravo oste, mi accompagnava al tavolo. A differenza di tutti gli atri ristoranti, alla "Campagnola" non c'era un menù fisso: tutti sapevano già quali erano le specialità della casa e non c'era modo di potersi sbagliare. Entrando, però, sentivo ogni volta un profumo diverso, indice che Agnese stava sperimentando qualcosa di nuovo. Al momento delle ordinazioni niente moderni computer direttamente collegati al bar e alla cucina: Eugenio arrivava al tavolo con la sua calma e, munito di un bloc notes e di una penna, annotava ordinatamente tutto ciò che gli veniva detto. Mi piaceva davvero quell'ambiente e la famigliarità che si respirava nei gesti di coloro che vi lavoravano: sembrava di andare a pranzo dalla nonna e avere gli zii che ti servono in tavola.
La clientela era molto varia: si passava dal gruppetto di muratori che apprezzavano la cucina tradizionale, ai due o tre imprenditori che, con interesse osservavano il colore del vino, alla famigliola che andava lì per festeggiare chissà quale evento e ai solitari che, come me, si facevano fare compagnia dal buon cibo.


Capitolo 3

Agnese era il motore di quella trattoria, senza di lei penso che il figlio e la moglie avrebbero chiuso. Una delle grandi specialità dell'anziana signora era la pasta con il ragù, unica alla mia bocca ma anche a quella di tutti gli altri clienti. La pasta veniva obbligatoriamente fatta a mano e il ragù veniva preparato quotidianamente da Agnese che lo arricchiva con aromi, spezie e quant'altro. I piatti che la trattoria offriva erano tradizionali e, oltre al famoso ragù di carne, veniva preparata anche dell'ottima carne alla griglia proveniente dal macellaio di famiglia che gestiva il suo negozio poco lontano dal locale. Quando entravo in quella trattoria non riuscivo a fare a meno di ordinare un piatto di pasta al ragù, magari anche una mezza porzione, perché non potevo uscire senza essermi gustato quella specialità che solo Agnese sapeva preparare; mi lasciava un gusto particolare in bocca e, sebbene si trattasse di qualcosa di molto pesante e calorico, dopo averlo mangiato mi sentivo leggero come prima poiché gli ingredienti usati da Agnese erano genuini e facilmente digeribili. Amavo la cucina della signora Agnese e avrei pagato oro per poter avere sempre a mia disposizione una cuoca così, in modo da non dovermi accontentare di un panino a pranzo oppure di un piatto di linguine allo scoglio surgelate alla sera.


Capitolo 4

In questo cornice deliziosa fatta di sapori e collaborazione in famiglia c'era però un lato oscuro che tutti cercavano quanto meno di dimenticare: la malattia di Agnese; la donna, infatti, era da tempo malata ma, dietro ai fornelli e agli occhi dei suoi affezionati clienti, nascondeva tutto. La sera si coricava a letto molto presto, giusto il tempo di terminare le ultime portate per i clienti più ritardatari. Come un fantasma abbandonava la cucina e saliva al piano superiore dove viveva in un appartamento molto grande che ricopriva l'intera superficie della trattoria sottostante; Agnese se ne andava, lasciando Eugenio e Sonia a terminare gli ultimi lavori di fine serata.
I mesi passavano in un'apparente normalità finché, nell'inverno di due anni fa, Agnese cominciò a stare davvero male fino a quando, non riuscendo più a trattenere il dolore, fu costretta a rimanere a letto e, da donna abituata al lavoro, questo peggiorò ulteriormente la situazione: nel giro di pochi giorni Agnese morì spegnendosi come un fuocherello colpito dal vento; la trattoria rimase chiusa per lutto per una settimana e i clienti, passando di lì e leggendo l'annuncio di morte della povera Agnese, si rattristavano e, in silenzio, rivolgevano un pensiero a quella donna sempre sorridente e fantastica, sia dal punto di vista umano sia da quello delle sue capacità in cucina.
Il lunedì dopo il funerale la trattoria rialzò le saracinesche e, con molta tristezza, Eugenio e Sonia ricominciarono ad accogliere i loro clienti. Tutti affrontavano la soglia del locale in punta di piedi e, mentre entravano, gettavano lo sguardo verso la foto di Agnese che era stata posta sopra il banco. Dopo pochi giorni dalla riapertura sorse un problema piuttosto rilevante: i piatti non avevano più lo stesso sapore di quando ai fornelli c'era la povera Agnese; Sonia aveva preso il suo posto ma, evidentemente, non aveva le stesse capacità della defunta suocera. I clienti di lì a poco cominciarono a lamentarsi: quello che proprio era cambiato era il ragù di carne, il piatto forte di Agnese; i clienti sceglievano "La Campagnola" anche a costo di fare parecchi chilometri pur di gustare il favoloso ragù ed era inaccettabile da parte loro dover fare a meno del suo sapore originale, quello a cui erano abituati da moltissimi anni.


Capitolo 5

Eugenio e Sonia cominciarono a cercare ovunque la ricetta del ragù: tra i numerosi libri di cucina, nei mobili e nei cassetti di Agnese e tra le sue riviste; era ormai chiaro che la donna non aveva scritto da nessuna parte i magici componenti del suo ragù: non esisteva una lista di ingredienti che usava regolarmente poiché ogni volta ne aggiungeva alcuni e ne toglieva altri e, questo mix formidabile, rendeva il suo ragù favoloso. Non esisteva nemmeno un appunto né una nota, nulla. Sembrava quasi che la donna volesse tenere quella ricetta segreta e che quel ragù sarebbe dovuto morire insieme a lei, nello stesso modo in cui, insieme a lei, era nato moltissimi anni prima quando cominciò a destreggiarsi tra i fornelli e a preparare le sue prime specialità.
La situazione stava diventando seriamente a preoccupante poiché le lamentele dei clienti erano continue e ripetute: in giro di poco la trattoria sarebbe rimasta vuota ed era senza dubbio necessario trovare una soluzione a quel problema. Sonia era disperata: ai fornelli non riusciva proprio a darne fuori come invece sapeva ben fare la suocera e per lei era ogni volta un duro colpo assistere alle lamentele dei clienti. Eugenio, purtroppo, non aveva mai seguito la madre nella preparazione del suo ragù e aveva le idee completamente confuse in merito alla preparazione di quella delizia. Era una situazione davvero difficile e complicata, apparentemente senza una possibile soluzione.


Capitolo 6

Ormai presi da una quasi totale disperazione, Eugenio e Sonia decisero di chiedere aiuto ai loro clienti, gli stessi che un tempo li avevano riempiti di complimenti e che invece, ora, li stavano mano a mano voltando le spalle. Indissero come una specie di "concorso della memoria" in cui tutti i loro clienti avrebbero potuto aiutarli in modo da cercare di ricomporre la tanto ricercata lista di mitici ingredienti necessari per preparare il ragù di nonna Agnese, così affettuosamente chiamato dopo la morte della donna. I clienti si entusiasmarono e cominciarono a dare il loro contributo: macinato di carne, salvia, carote, peperoncino, olio, cipolla, pomodoro, ginepro...; ognuno diceva la sua, c'era chi aggiungeva un ingrediente e chi ne toglieva a priori un altro. Era diventata quasi come una corsa per chi ricostruiva più in fretta la ricetta di nonna Agnese. Se solo Agnese avesse scritto da qualche parte qualche appunto, un promemoria, una lista della spesa per la preparazione del suo ragù non ci sarebbero stati così tanti problemi e tutto sarebbe stato molto più facile. Forse l'originalità e la bontà di questo ragù stava anche nel mistero degli ingredienti che lo componevano, quasi fosse una pozione magica scritta in chissà quale libro di fantasia.


Capitolo 7

Fu così che Eugenio e Sonia organizzarono una serata in cui avrebbero provato tutte le ricette elaborate dai loro clienti; al mattino andarono dal macellaio e acquistarono una notevole quantità di macinato di carne e anche al mercato per comprare le più svariate verdure consigliate dai loro clienti. Tornarono a casa soddisfatti e attesero con ansia l'arrivo delle ore 20 in cui sarebbero arrivati tutti i loro "collaboratori". Piano piano il cortile cominciò a riempirsi di auto, biciclette e moto: uomini e donne provenienti da vari punti della città erano lì per tentare di ricostruire la ricetta del ragù, ormai considerato un patrimonio della cucina. Uno per volta andavano in cucina, ognuno con la sua idea e la sua lista di ingredienti: mentre Sonia era ai fornelli e seguiva alla lettera tutto ciò che le veniva suggerito, Eugenio accoglieva chi arrivava e cercava di mantenere l'ordine tra quella moltitudine di persone. Ovviamente doveva esserci un giudice anzi, più giudici, che dovevano decretare qual era la ricetta che più si avvicinava a quella di Agnese; una giuria esperta, formata da cinque, tra uomini e donne, clienti storici del locale.

Capitolo 8

Erano ormai le 23 quando, a gran voce, i giudici proclamarono unanimi a gran voce il loro verdetto: la ricetta giusta era quella elaborata da Ornella, vecchia amica di Agnese. Eugenio e Sonia furono più felici che mai, stapparono una bottiglia del loro miglior vino e omaggiarono Ornella con un mazzo di fiori; il ritrovamento della pregiata ricetta era per loro come una manna dal cielo: questo avrebbe comportato al recupero di tutta la clientela che nelle settimane precedenti avevano perso. Finalmente la ricetta era stata recuperata e l'antico sapore dell'originale ragù di Agnese era nuovamente a disposizione di chiunque avesse avuto voglia di deliziarsi con un piatto di bigoli, gnocchi o fettuccine."La Campagnola" ricominciò la sua attività raggiungendo risultati davvero lusinghieri: qualcosa come una cinquantina di pasti a pranzo e a cena, proprio come quando al timone della cucina c'era Agnese. Eugenio e soprattutto Sonia erano davvero fieri del lavoro svolto dai loro clienti ed erano orgogliosi di poter proseguire l'attività che Agnese aveva svolto per molti anni. Dopo l'esperienza vissuta, Eugenio e Sonia procedettero con la stesura della lista di tutti gli ingredienti necessari per preparare il ragù, la incorniciarono e la misero in bella mostra nella sala della trattoria. Ora, chiunque entra alla "Campagnola" può conoscere tutti gli ingredienti di cui è fatto quel ragù di cui tanto si era parlato in precedenza.

Ideato da: Marco Gasparotto
Scritto da: Alessia Zaroccolo
Pubblicato da: Bregalda Alessandro

lunedì 7 giugno 2010

- Per un amico -



Capitolo 1

Eravamo partiti in 22 e tornavamo in 8 da quella stramaledettissima missione e da quella fottuta trincea del cavolo che puzzava di qualcosa che si avvicinava molto all’odore di carne umana: non ci lavavamo da giorni. Posammo lo zaino e il thomson a terra, stremati. Chiesi dell’acqua e lavandomi il viso e sorseggiando il resto della borraccia mi guardai intorno, “John… John…” alcuni mi guardarono per un momento poi si voltarono dall’altra parte; solo Anthony che era seduto affianco a me mi fissava e appena incrociai il suo sguardo lui scosse il capo a destra e a sinistra. Non ci credetti subito, mi alzai in piedi e urlai più forte -John- ma ancora nessuna risposta. Sensazioni atroci mi passavano per la mente, orrori nella mia testa, avevo un’accurata percezione della realtà ma la mai mente rifiutava l’idea che John fosse scomparso. Ero ormai troppo abituato alla sua presenza, ero cresciuto insieme a lui: da bambino non uscivo di casa senza di lui, era la mia ombra. Le nostre famiglie si conoscevano da anni e durante l’estate ero sempre a casa sua a pranzo: sua madre era un’ottima cuoca e amava preparaci dei deliziosi pranzetti che insieme gustavamo in terrazzo. In segno della nostra grandissima amicizia ci eravamo regalati un braccialetto colorato che, con il tempo, si era consumato ma tenevo sempre con orgoglio al braccio sinistro insieme a quello d’oro del Battesimo. Un legame profondo fatto di sincerità e di affetto, nato moltissimi anni prima e che ancora durava nonostante fossimo diventati degli uomini e, una nuova tappa della nostra amicizia, fu appunto quella della guerra, un’esperienza difficile al termine della quale saremmo diventati ancora più forti e ciò che era ancora più splendido era che questa crescita sarebbe avvenuta sempre insieme. Davanti a migliaia di ragazzi che partivano tra le lacrime, noi eravamo partiti con il sorriso sulle labbra, ci sentivamo grandi, avevamo voglia di nuove avventure, il dolore non ci faceva paura perché eravamo insieme. Lo cercai nervosamente tra i pochissimi rimasti ma, dopo alcuni minuti, mi accorsi con grandissimo dispiacere che non era presente; fu proprio in quel momento che il mio cuore si frantumò in mille pezzi, come un piatto di porcellana che raggiunge il suolo, non riuscivo ad immaginare che John potesse essere morto e non potevo nemmeno accettare di averlo abbandonato nel campo di battaglia.

Capitolo 2

Abbandonai di colpo lo zaino e il thomson e corsi alla ricerca del capitano per dirgli che avevamo perso John; lo dovetti cercare a lungo prima di trovarlo, sembrava essersi volatilizzato. Quando lo trovai gli corsi davanti e mi fermai a dieci centimetri da lui. Seguì qualche secondo di silenzio mentre ci respiravamo in faccia lui mi squadrò da cima a fondo; il silenzio si ruppe quando si chinò per prendere la borraccia: credevo volesse fare qualcosa, ogni suo gesto mi appariva decisivo per quello che volevo fare, per il permesso che volevo ottenere da lui. -Capitano- dissi a gran voce -John non è con noi- lui non mi rispose, soltanto mi fissò negli occhi per alcuni istanti poi riabbassò lo sguardo. Io gli diedi una spinta sulla spalla e gli richiesi: -Eh beh che vuole fare?- replicò lui. -E che cosa vuoi che faccia? Non possiamo tornare indietro a riprendere chiunque si perda…- .
Me ne tornai a sedere. Stetti lì fermo come un cane impaurito seduto sul fango e qualcosa mi si muoveva dentro. Mi sentivo in dovere verso John, non potevo non andare a cercarlo, dovevo rendergli giudizio, se era morto aveva diritto a una sepoltura degna, un luogo un cui fosse stato possibile pregare per lui e riporre dei fiori. La sua famiglia aveva già perso l’altro figlio, era morto a soli dieci anni per una malattia rara che i medici avevano dato per incurabile; la madre e il padre di John andavano al cimitero tutti i giorni, tutte le mattine, come in un pellegrinaggio, partivano a piedi per andare al camposanto che si trovava sulla sommità di una collina: poche tombe, i pochi fiori erano tutti appassiti, secchi e venivano sostituiti sono in prossimità delle grandi feste giusto per fare bella figura con i parenti che sarebbero venuti da lontano. L’unica tomba che aveva sempre, inverno e estate, i fiori sempre freschi era quella di Peter, con quella foto in bianco e nero di un angelo scomparso ancora prima di prendere il volo; John, prima di partire per la guerra, accompagnava sempre i suoi genitori a far visita a suo fratello e, anche lui ancora sconvolto dal dolore come i genitori, aveva dichiarato di voler riposare vicino a suo fratello quando sarebbe arrivata la sua ora perché, così diceva, quel rapporto aveva bisogno di continuare per l’eternità.

Capitolo 3

A un certo punto ripresi coraggio, mi rialzai e tornai dal comandante; mi misi sull’attenti di fronte a lui e gridai: “Chiedo il permesso di andare a recuperare il soldato John Marquand”. “Permesso negato” replicò il comandante.
Avevo cercato in tutti i modi di convincere il comandante, gli avevo raccontato delle promesse che prima di partire io e il mio amico ci eravamo fatti, avevo anche cercato di far capire a quel cuore di ghiaccio quale fosse il rapporto tra me e John, dell'infanzia trascorsa insieme e anche della sua situazione famigliare. Il comandante mi ascoltava, stava fermo come un palo della luce che rimane indifferente al sole, alla pioggia, alla neve e al vento; quell'uomo sembrava davvero non voler capire le mie ragioni e, quasi per farmi notare la sua assoluta superiorità alla fine di tutti i miei discorsi mi rispose con un “NO” secco che però non mi fece cadere nello sconforto e nemmeno fece svanire tutta la forze che sentivo dentro che mi guidava verso John.

Capitolo 4

John disobbedisce al comandante e parte per andare a riprendere il suo amico.
E fu dal No del comandante che decisi di partire, alla ricerca del mio grande amico John. Non sapevo dove l'avrei trovato, non ne avevo la più pallida idea, non mi ero nemmeno accorto quando era stato colpito e aveva smesso di seguirci. Mi misi il fucile in spalla come anche quel vecchio zaino con dentro quel poco cibo che mi era rimasto: ero stanco, sfinito, gli occhi mi bruciavano e l'unica cosa che mi avrebbe risollevato sarebbe stata ritrovare John vivo. Camminai a lungo, ripercorsi gli stessi luoghi che poco prima mi avevano riportato a casa, mi guardavo intorno ma il mio raggio di veduta era abbastanza corto perché ero davvero stremato. Colline, qualche tratto in pianura, sassi, acqua, avevo freddo e caldo insieme, penso di avere avuto anche la febbre ma niente mi avrebbe potuto fermare. Ero sicuro di trovare John, ero sicuro di poterlo rivedere vivo, di potergli parlare, di poter tornare a casa con lui e di ricominciare una nuova vita dopo quella tremenda e terrificante guerra. Ogni tanto inciampavo e cadevo a terra, le mie ginocchia erano piene di botte viola che si mescolavano alla terra che rimaneva attaccata con il sudore alla mia pelle; in alcuni momenti mi mancava pure il respiro, ero costretto a fermarmi, sedermi a terra per qualche secondo per poter riprendere fiato e continuare a camminare. Tra una caduta e un respiro mancato continuavo incessantemente a gridare il suo nome: JOHN, JOHN, JOHN.... e ogni tanto si produceva pure un eco che moltiplicava all'infinito quel nome. Ad un certo punto vidi un casolare, dietro una collina e, dopo una prima occhiata mi sembrava avere qualcosa di famigliare; camminai ancora u po', incuriosito finché non arrivai a pochi metri da quello luogo abbandonato: era proprio lo stesso posto in cui qualche settimana prima ci eravamo fermati a dormire durante la notte e dove avevamo trovato riparo dagli spari nemici. Entrai stremato e mi sedetti a terra; da dietro un muro sentii una voce che mi chiedeva aiuto. Mi alzai di colpo e riconobbi all'istante quella voce: era John! Lo raggiunsi subito: era ferito, stava male e immediatamente mi resi conto che le sue condizioni erano davvero gravi. Me lo caricai in spalla e riprendemmo insieme la casa del ritorno. John era davvero a pezzi, era stato ferito alla gamba destra e aveva perso molto sangue; aveva fame, sete e, come me, non ne poteva più della guerra. John sapeva che non ce l'avrebbe fatta a sopravvivere ma io, testardo come sempre, ne ero sicuro e lo volevo portare in vita davanti al comandante, come un atleta con il suo trofeo dopo una gara.

Capitolo 5

Cominciavo anch'io a sentire i segni della stanchezza, le gambe facevano veramente fatica a tenermi in piedi ma continuavo a camminare facendo finta di non sentire niente; ad un certo punto arrivò uno sparo, un proiettile si conficcò nel mio braccio sinistro e, di colpo, mi accasciai a terra dal dolore. In quel momento, anche se per poco, pensai che non ce l'avremmo fatta ma, come avevo fatto io prima, John mi diede la forza di continuare; per fermare il sangue mi legò uno straccio molto stretto al braccio. Continuavamo a camminare, non sentivo più le gambe che andavano avanti da solo. Il cielo era grigio e nubi nere si alzavano dalla terra infuocata, fuoco rosso come il sangue che sgorgava dalla gamba di John, ma camminavamo e camminavamo senza fermarci. Ma ad un certo punto, proprio mentre le energie gonfiavano il cuore di fatica ecco la salvezza. Il nostro limite per portarci entrambi in salvo. Mancavano circa 200 metri. Vedemmo qualcuno venirci in contro era dei nostri la divisa era sicuramente la nostra, ma ad un centinaio di metri si fermo e immobile prese la mira. Il primo colpo schivò John di qualche centimetro, tentammo di correre più veloci ma di nuovo per la seconda volta, bam; questo centro John nel petto sulla destra. Mi gettai a terra insieme a lui e urlai: Alzati John, alzati, andiamo manca pochis… Un terzo proiettile mi si conficco nella coscia sinistra e mi strappo dai polmoni il poco fiato che mi rimaneva. Eravamo distesi in posizione prono e girando la testaverso John gli dissi:”il comandante non mi ha concesso il permesso di venirti a salvare, ma io ho disobbedito e sono venuto comunque…” e lui rispose. “il comandante eh? Ecco chi mi ha sparato. Il comandante è un infiltrato.

Il team di "Con un po' d'inchiostro"

domenica 30 maggio 2010

Anticipazioni ultimo racconto e chiarimenti



Salve a tutti! Siamo ancora impegnati con il quinto racconto che verrà pubblicato presunibilmente questa settimana. La ragione dei pochi post e dei ritardi è sempre quella quindi è inutile che ve lo spieghi. Oltre al quinto racconto, stiamo lavorando all'ultima storia riguardante una ricetta qualunque. Allora tenetevi aggiornati e speriamo che possiate finalmente leggere il quinto racconto a breve. A presto!

mercoledì 19 maggio 2010

Ancora ritardi


Buon giorno visitatori! Purtroppo, per ragioni tempistiche riguaradanti la valanga di verifiche di questo mese, abbiamo ancora ritardato la pubblicazione del quinto capitolo anche se l'abbiamo quasi finito. Per quanto riguarda il sesto e ultimo racconto, verrà pubblicato verso la fine dell'anno (EVVIVA!). Quindi, a presto e restati aggiornati per eventuali nuove notizie.

mercoledì 12 maggio 2010

Scuse e news



Buon giorno visitatori del blog! Data la marea di verifiche e interrogazioni che ci sommergono in questo Maggio, abbiamo allungato un po' i tempi di consegna e di pubblicazione del quinto racconto. Siamo quindi dispiaciuti e facciamo le nostre scuse agli abituali visitatori. Il racconto però, sarà pubblicato a breve (dateci ancora 3 giorni). Nel frattempo, siamo giunti a conoscenza della nuova traccia del nuovo racconto la quale avrà come tema centrale una ricetta. Per quanto riguarda il progetto del bar a Londra dovrete aspettare ancora, dato che i nostri progetti sono in mano al professore d'inglese. Allora a presto!

domenica 2 maggio 2010

Ci siamo quasi!



Mancano oramai pochi giorni alla pubblicazione del nuovo racconto che, ricordiamo, sarà incentrato su un tradimento militare. Per l'occasione abbiamo migliorato lo sfondo del blog e abbiamo anche inserito un gadget un po' inutile ma comunque simpatico (lo trovi sotto la parte dedicata ai sostenitori). Quindi, state aggiornati, noi vi aspettiamo il 10 Maggio per il quinto e penultimo racconto.

domenica 25 aprile 2010

Ancora novità


Buongiorno visitatori del blog! Stiamo scrivendo il quinto e penultimo racconto che verrà pubblicato verso il 10 Maggio. Siamo orientati a scrivere una storia, inerente alla traccia assegnataci (un tradimento), che parla (per l'appunto) di un tradimento militare nella seconda guerra mondiale. Che ne pensate? Commentate pure!